Cottura dei cibi
La reazione di Maillard è forse la più importante reazione enzimatica della cottura e consiste in un imbrunimento non enzimatico. Dal pane alla torta, dalla bistecca alle patatine fritte passando per il caffè tostato, la reazione di Maillard è quella che attribuisce ai cibi il tipico aspetto bruno e il gusto di cibo cotto. Si tratta quindi di un effetto desiderabile. L’unica cautela è non esagerare, per non rischiare di bruciare la portata.
La reazione di Maillard è fortemente accelerata dalla temperatura, ma si svolge già a temperatura ambiente. L’intensità della reazione è fortemente legata al contesto chimico-fisico. E’ proporzionale alla quantità di calore applicata, quindi alla coppia “temperatura-tempo”, tuttavia i prodotti formati dipendono dalla temperatura alla quale si svolge la reazione.
La reazione di Maillard cresce con il PH.
La sua intensità è massima per umidità relative dell’ordine del 40-70%.
Dipende dalla natura e dal tasso degli zuccheri riducenti, principali responsabili della reazione “zucchero-amminoacido”.
Se gli aminoacidi sono liberi, la loro reattività è comparabile.
La reazione di Maillard avviene durante l’interazione nella fase di cottura di carboidrati e proteine ed è significativa solo a temperature superiori a 140 °C. I composti formano degli aggregati odorosi tipici, molto apprezzati e attraenti per il palato.
La reazione in realtà non è una sola, ma è costituita da una serie di fenomeni che si innescano in tre fasi:
- la prima non presenta effetti visibili, mentre causa la degradazione di certi amminoacidi essenziali come la lisina.
- La seconda è responsabile della formazione dei composti odorosi tipici del cibo cotto
- La terza vede invece la nascita di grosse molecole che conferiscono il tipico colore bruno al cibo.
Il “gusto di carne”, per esempio, che può essere estratto e usato in brodi o altri alimenti, è essenzialmente il gusto dei composti di Maillard.
La reazione di Maillard da origine a numerosissimi composti diversi, non tutti identificati e la cui chimica è ancora in parte da svelare. Tuttavia è noto che queste reazioni sono favorite da un ambiente leggermente basico e dalla presenza di metallo. Infine, trattandosi di una reazione tra carboidrati e proteine, è evidente che si otterrà una buona reazione di Maillard se questi sono presenti in grandi quantità.
La reazione di Maillard genera molti composti diversi
Alcuni esempi di questa reazione sono la parte esterna definita “crosta” del pane o delle crostate, la doratura nei soffritti e nei fritti e la superficie più croccante esterna della bistecca, infatti il segreto per un’ottima bistecca è favorire una buona reazione di Maillard e insieme salvaguardare il contenuto di liquidi del taglio di carne.
Per una buona reazione di Maillard la temperatura dovrebbe restare tra i 140 e i 180 °C, mentre la superficie di contatto con l’alimento dovrebbe essere in metallo.
Alcuni alimenti come le carni bianche possono essere poveri degli zuccheri necessari. In questo caso si possono aggiungere vino, limone o arancia, oppure fare una leggera glassatura col miele. Il comune zucchero da cucina invece, il saccarosio, così com’è non va bene. Perché favorisca la reazione è necessario che sia scomposto nei suoi componenti principali, glucosio e fruttosio, ciò che si può ottenere combinandolo con vino o altre sostanze acide come il limone. Per questa ragione la marinata è un ottimo accorgimento per favorire la reazione.
L’evaporazione dell’acqua durante la cottura dei cibi
L’acqua è l’elemento percentualmente più rilevante nella maggior parte dei cibi e quindi è quello che viene maggiormente coinvolto nel processo di cottura. L’acqua si trasforma in vapore durante la cottura, questo comporta una concentrazione delle sostanze nutritive e dei sapori. Nella carne e nel pesce, e anche in alcuni vegetali come nei funghi e negli ortaggi a foglia, la fuoriuscita di acqua è causata dalla rottura delle cellule.
Modificazioni del lipidi negli alimenti
Molto spesso si tende ad utilizzare indistintamente i termini: “lipidi” “grassi” “ed “acidi grassi”, come se fossero sinonimi. In realtà queste terminologie hanno un significato ben preciso e non potrebbero essere utilizzate in maniera casuale. Gli acidi grassi, infatti, sono dei componenti strutturali dei trigliceridi (3 acidi grazzi + 1 glicerolo = 1 trigliceride), che a loro volta rientrano nella categoria dei lipidi.
I lipidi sono sostanze di origine biologica, solubili in solventi organici, ma poco o per nulla solubili in acqua.
Vista la genericità della definizione, la categoria dei lipidi accorpa moltissime sostanze come trigliceridi, fosfolipidi, colesterolo, sfingolipidi, alcoli alifatici, cere, terpeni, steroidi ed acidi grassi.
Nella maggioranza dei casi (60-70%), i lipidi introdotti con l’alimentazione sono rappresentati dai trigliceridi, detti anche grassi; pertanto, di regola, i grassi sono sinonimo di trigliceridi.
Tornando più in generale ai lipidi, i fattori responsabili dei cambiamenti sono la temperatura e l’ossigeno dell’aria. I fenomeni che si determinano, interessano sia i lipidi contenuti nell’alimento sia quelli aggiunti come condimento.
Nel grasso scuro si forma una sostanza tossica: l’acroleina
In questo caso avviene la rottura delle molecole di trigliceridi, si formano acidi grassi liberi e glicerina; la glicerina, in parte, si trasforma in una sostanza tossica chiamata acroleina: il grasso diventa scuro, schiumeggia e libera fumi irritanti. La temperatura a cui inizia lo sviluppo di fumi si definisce punto di fumo e corrisponde all’inizio della decomposizione del grasso.
Ogni tipo di grasso ha un punto di fumo differente, che dipende soprattutto dalla quantità di grassi mono e polinsaturi che contiene: i grassi ad alto contenuto di acidi grassi saturi, hanno in genere punti di fumo superiori.
Possono inoltre avvenire fenomeni di polimerizzazione, reazioni in cui molte molecole si uniscono fra loro per formare macromolecole che determinano aumento della viscosità del grasso e diminuzione della digeribilità.
Oppure fenomeni di autossidazione e irrancidimento, dovuti alla reazione tra gli acidi grassi insaturi presenti nel grasso e l’ossigeno dell’aria, con odori e sapori sgradevoli e nocivi.
Modificazioni delle proteine
Le proteine sottoposte a temperature superiori a 55 – 60 °C coagulano, cioè cambiano la loro struttura legandosi tra di loro. Questo fenomeno è legato alla perdita di liquidi della carne a seguito dell’accorciamento delle fibre muscolati, e al rassodamento delle proteine dell’uovo, molto importante per legare salse e dare la giusta consistenza a moltissime preparazioni.
La coagulazione delle proteine le rende più digeribili grazie alla frammentazione delle catene proteiche che le rende maggiormente aggredibili dai succhi gastrici.
La cottura non provoca riduzioni sensibili del valore nutritivo delle proteine ma comporta un aumento della loro digeribilità. Tuttavia una cottura troppo prolungata può portare ad una minore disponibilità di alcuni amminoacidi essenziali come cisteina, triptofano, metionina, lisina.
L’ambiente acido rende le proteine più digeribili
Se la cottura di alimenti ricchi di proteine viene condotta in ambiente acido come ad esempio in presenza di aceto, limone e salsa di pomodoro, si hanno modificazioni simili a quelle ottenute con la digestione con la formazione di molecole più piccole.
Una reazione di trasformazione che riduce il valore nutritivo delle proteine è quella tra le proteine e gli zuccheri.
Fenomeni negativi si verificano quando la cottura, soprattutto l’arrostimento, si prolunga tanto da far diminuire la capacità delle proteine a legare l’acqua. Ne segue un’azione più difficoltosa da parte dei succhi gastrici, quindi minore digeribilità.
Con la lessatura si perdono sostanze nutritive
La lessatura determina il passaggio delle proteine solubili nell’acqua con perdita di valore nutritivo se il brodo non viene utilizzato in seguito. Nel caso in cui l’alimento proteico viene introdotto nell’acqua già bollente, l’alta temperatura provoca coagulazione delle proteine superficiali con protezione di quelle solubili che si trovano all’interno della massa. Ne consegue un buon lesso e un brodo povero. Invece se si immerge il pezzo di carne in acqua fredda non salata, man mano che il riscaldamento procede, le proteine solubili passano nel liquido di cottura che ne diventa più ricco. Si ha così un buon brodo e un pessimo lesso.
Carne e pesce contengono una discreta quantità di creatina, ma una buona percentuale viene persa durante la cottura.
Modificazioni dei glucidi
I glucidi sono dei composti chimici organici comunemente chiamati glicidi, zuccheri o carboidrati.
L’effetto del calore sui glucidi è differente a seconda del tipo dei glucidi interessati dalla cottura.
L’amido è il principale glucide alimentare (cereali, legumi, patate ecc.). Col calore i granuli di amido passano nell’acqua di cottura, che assume il caratteristico aspetto colloso.
L’amido, un composto formato da lunghe catene di glucosio, in presenza di acqua inizia ad assorbirla e a gonfiarsi a 60 – 70 °C, fino a moltiplicare di 20-30 volte il suo volume.
L’ambiente acido rende il cibo glucidico più digeribile
La presenza di sostanze acide limita questo fenomeno. Se il riscaldamento avviene a temperatura molto elevata e a secco, l’amido si trasforma in molecole più piccole, imbrunisce e sviluppa odori particolarmente gradevoli. Questa trasformazione rende l’alimento più digeribile.
Anche gli zuccheri più semplici subiscono delle trasformazioni. In presenza di proteine, gli zuccheri semplici reagiscono con esse formando prodotti bruni non più utilizzabili dall’organismo, con una diminuzione del valore nutritivo.
Gli zuccheri semplici si sciolgono in presenza di liquidi, se la cottura dei cibi viene prolungata l’acqua evapora e si forma uno sciroppo. Quando si superano i 100 °C, lo sciroppo modifica la sua consistenza una volta raffreddato, a stadi diversi a seconda dell’intervallo di temperatura, fino alla caramellizzazione che inizia a 150 °C.
Vitamine e minerali
Se le operazioni di cottura non sono condotte in modo idoneo si possono registrare perdite anche notevoli di vitamine a causa della loro scarsa stabilità, nei confronti del calore, della luce, dell’ossigeno, di sostanze acidificanti o alcalinizzanti.
Le perdite di sali minerali sono dovute alla loro elevata solubilità nell’acqua di cottura.
Durante la cottura dei cibi in acqua la perdita di vitamine e di sali minerali è maggiore se si usa troppo liquido di cottura, se essi sono troppo sminuzzati e se l’ebollizione dura a lungo. A parità di sistema di cottura le perdite variano da un prodotto all’altro in funzione dell’acidità e della presenza di sostanze antiossidanti naturali.
Durante la cottura dei cibi si perdono ferro e vitamine
Per dare un ordine dì grandezza delle perdite, riferendoci al ferro, si può dire che nei prodotti vegetali il contenuto di questo elemento diminuisce del 15% circa per la cottura con molta acqua e del 10% circa nella cottura a vapore.
La cottura provoca la distruzione di molte vitamine, soprattutto di quelle idrosolubili, in particolare la vitamina C e quelle del gruppo B, con perdite fino al 50%. I sali minerali vengono dispersi nell’acqua di cottura, mentre nelle cotture a secco la perdita è minima.
La perdita di microelementi in cottura in genere dipende in modo proporzionale dalla temperatura e dalla durata di cottura.
L’acrilammide durante la cottura degli alimenti
Una sostanza indesiderata che si forma durante il processo di cottura è l’acrilamide. Fino a qualche anno fa era conosciuta solo per il suo impiego nei processi industriali come quelli della produzione di plastici, colle, carta e cosmetici. L’esposizione accidentale dei lavoratori ad alti livelli di acrilamide ha portato all’identificazione di questa sostanza come neurotossina. Questo significa che l’acrilamide ad alte dosi ha la capacità di causare un danno al tessuto nervoso. Si sa, inoltre, che negli animali, alte dose del composto, causano cancro e agiscono sulla riproduzione.
Nel 2002, ricercatori dell’Università di Stoccolma, in Svezia, scoprirono la formazione di acrilamide negli alimenti. Da allora in poi, l’acrilamide è stata trovata in una serie di alimenti trattati ad alte temperature. L’acrilamide si può formare negli alimenti durante i processi di cottura dei cibi che arrivano a temperature di 120°C o più alte, per esempio friggendo, cocendo al forno e arrostendo.
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